"A day without laughter is a day wasted"

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mercoledì 25 settembre 2013

Tu ci credi al destino?

Le foglie amaranto e ocra continuavano vorticosamente ad aggrovigliarsi attorno ai piedi del grande acero rosso sotto l'ufficio. Il vento era forte, troppo per una giornata di metà autunno. Sveva si godeva la scena, persa come sempre nel suo mondo, con una sigaretta tra le dita ormai spenta dal vento e i capelli color oro che le finivano davanti agli occhi. Aveva deciso di passare così l'ora di pausa pranzo quel giorno: "io e il mio albero"; ignara,naturalmente, che da quel ventoso pomeriggio d'Ottobre la sua vita (o quantomeno la sua visione della stessa) sarebbe radicalmente cambiata. 

Farvi capire chi è Sveva non è così semplice come elencare pregi e difetti di una persona; lei è... patologicamente schizofrenica (nel modo più affettuoso e positivo del termine, si intende). Avete presente quando si cambia idea per il colore della carta da parati scelto pochi giorni prima? Ecco, potremmo tranquillamente dire che Sveva ha incentrato tutta la sua esistenza su questo principio. Lei "cambia idea". 

Fruga goffamente all'interno della borsa, alla ricerca di un accendino che le accenda la seconda sigaretta, ma il telefonino inizia ad emettere un allarme assordante che le ricorda la fine della sua pausa pranzo. - Dai Sveva alzati, un, due, tre, op! - Si ripete motivandosi. Dopo un paio di tentativi si convince e dirige verso il civico 34 del palazzo di fronte. 

L'autobus che la porta da casa all'ufficio e dall'ufficio a casa è stato da sempre uno dei suoi luoghi preferiti. "Un posto etnico e pieno di matti" ripeteva sempre alla sua amica Emma. Ogni giorno c'era sempre qualcuno di interessante da osservare: l'anziana signora che parlava del senso della vita urlandolo in faccia ad ogni passante, la capricciosa e fastidiosissima bambina che supplicava la madre di comprarle l'ultima 'Winx' in uscita nelle edicole. Eppure quel giorno c'era qualcosa di diverso, lei lo sentiva nell'aria. 
Scende dall'autobus di corsa, convinta che questa volta se la sarebbe davvero fatta sotto la pipì! Solo tre isolati la separano dal portone rosso del suo condominio. Si avvia correndo e cercando in tutti i modi di trattenerla; capisce che non ci riuscirà, entra in un minuscolo pub aperto da poco e va diretta alla toilet.
Si asciuga distrattamente le mani e spinge la porta del bagno intenta ad uscire, ma c'è qualcosa che blocca la porta, spinge con più vigore, niente; riprova ancora una volta con più forza ma finisce per inciampare nei suoi stessi piedi proprio nell'attimo in cui riesce ad aprire la porta. Le cade la borsa, si accovaccia, raccoglie tutto e va verso l'uscita. Le arriva un sms, è di Emma, chiede di vedersi stasera: "va bene, ma cos..." Alza gli occhi dopo aver urtato il braccio di qualcuno. Lui sorride, le manca il respiro. Pensa di non aver mai incontrato uno sguardo tanto travolgente. Non riesce a distogliere il suo da quel sorriso irresistibile, bello da far paura. Una canzone appena uscita risuona nel locale. "Bella canzone" dice lui indicando la radio posta sul bancone. L'unica cosa a cui riesce a pensare Sveva è che la sua voce è, se possibile, anche meglio di tutto il resto. "Non la conosco" risponde. Il silenzio imbarazzante viene interrotto bruscamente dai gorgoglii del suo stomaco. Si posa una mano sul ventre, come se con questo gesto potesse farlo smettere. "Fame?" Le chiede lui accennando una risata, "io sono Giacomo" porgendole la mano a mo' di presentazione "Sveva e... no, grazie". Apre la porta e si incammina verso casa. 

"No, grazie?!? Ma grazie di cosa?" Dice Emma dopo aver ascoltato nell'ultima mezz'ora ogni minimo dettaglio della scena rivissuta da Sveva. "Non lo so, ero nel panico, non so neanche come mi siano uscite le parole".
Non si era mai sentita così. 
Nei giorni successivi rifaceva lo stesso percorso nella speranza di incontrarlo. Era sopraffatta dai pensieri che le rimbombavano nella testa. Ma poi tornava con i piedi per terra: -perché? Ti struggi per uno sconosciuto? Sveva, svegliati, non esiste.-

I giorni passavano lentamente e il freddo si iniziava a far sentire. 
Un tristissimo mercoledì pomeriggio di fine Ottobre lui era lì, sullo stesso uscio della stessa porta dello stesso locale. Con il cuore in gola, il respiro affannoso e un fuoco che le sembrava far bruciare le dita dei piedi, decide di attraversare la strada per non farsi vedere. "Sveva!" Grida lui dall'altro capo del marciapiede;    - bene, cazzo calmati è tutto ok, girati! - Il tempo di voltarsi e lui l'aveva raggiunta. "Giacomo, ricordi?" - no, proprio non riesco a ricordarmi della persona a cui ho pensato durante gli ultimi venti giorni- "si, ciao" "che dici oggi riesci a non scappare e trattenerti per un caffè?". -no, oddio no, cazzo ho i capelli sporchi, non mi sono neanche lavata i denti dopo pranzo!- "no, mi spiace non posso proprio, devo andare, magari la prossima volta"; "tipo stasera? Abiti lì giusto?" Indica con fermezza il portone ingrigito dalla giornata uggiosa. "....ehm.... S-si.. D-dovrei.." "Passo alle 9" le bacia la guancia di sfuggita, ma con dolcezza e si allontana. Le ci vollero alcuni secondi prima di rendersi conto del contorno e rimettersi a camminare. 

-Bene, le 9, sono le 5, ce la puoi fare- 
Si chiude la porta alle spalle, alcuni secondi per riprendersi; armadio, doccia,denti, scarpe,trucco, profumo. Si sente il suono di un clacson, scosta la tendina del bagno, è lui. Si ferma di fronte allo specchio, non si piace,non si piace per niente, ma non è una novità. In realtà è perfetta, non troppo elegante, nè troppo truccata. 
Sale in macchina. Lui sorride, lei quasi sviene. "Sei....stai bene." dice Giacomo salutandola. Lei risponde accennando un sorriso. La serata procede tra i racconti del caso: lavoro, famiglia, amici, valori, fede. Sveva si sente inopportuna, non è se stessa, si sente inferiore pur non essendolo. Al ritorno, sotto casa, lei si affretta ad aprire la portiera della macchina per scendere, quindi saluta con un "ci sentiamo" e sparisce dietro il portone. Una manciata di minuti più tardi per poco non cade a terra stupita nel ricevere un suo messaggio. "Sei strana. Mi piaci. Ma non ti capisco." Non risponde. 
Si ripetono un paio di serate simili nelle settimane successive. Ma niente di nuovo, a parte ovviamente il pensiero fisso che si era ormai insinuato completamente e fastidiosamente in lei. Pensava di averlo trovato (Il SUO Lui!) ma allo stesso tempo la paura del 'troppo' la faceva aprire sempre meno e allontanare sempre di più. 

Lei è sempre meno convinta, lui pure. Non si capiscono, parlano la stessa lingua ma niente, non riescono proprio ad andare sulla stessa lunghezza d'onda. Provano vari tentativi di 'comprensione' reciproca ma non va. 
Si perdono di vista, più per 'stanchezza nel provarci' che per reale interesse nell'approfondire.

Emma non capisce, cosa c'è di così complicato nell'esprimere liberamente cosa si prova, soprattutto tra due persone adulte?!

'Incontri fortuiti' continuavano a susseguirsi col passare del tempo. Emma faceva notare a Sveva che forse di destino si trattava. Ma no! Erano coincidenze per quanto la riguardava. -Sicuramente non è il destino, ma allora perché? Qualsiasi cosa faccia me lo ritrovo sempre qui, possibile?- 
Passa un anno; lei continua a pensarci, non può negarlo, ma va avanti con la sua vita com'è giusto che sia. Frequenta altre persone, ma non reggono il confronto,purtroppo non può farci niente, il paragone lo farà sempre.
Non si è davvero mai sentita così. Si odia per questo, ma non riesce proprio a levarselo dalla testa.


Ci risiamo, stesso acero rosso spoglio, stessa panchina, sotto l'ufficio. La sigaretta si spegne col vento. Cerca l'accendino ma questa volta c'è qualcuno che glielo porge. Allunga la mano. Si guardano, più che intensamente, il blu profondo  degli occhi di lei si mischia perfettamente con il morbido nocciola degli occhi di lui. 
"Pensavo di essermi liberata di te" 
"Anche io". Le prende la mano e con forza la alza dalla panchina e la porta verso di lui. Il bacio è energico, morbido, intenso, dolce, struggente. Così bello da far male, le esce una lacrima che cerca in tutti i modi di nascondere. Con il pollice lui le asciuga delicatamente la guancia e si prende un momento per osservarla, lasciando la mano tra i capelli.   
"Tu ci credi al destino?" Chiede lui. 
"Forse".



Chiara

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